lunedì 13 agosto 2012

"Addio alle armi", Ernest Hemingway - discussione del 01 Agosto 2012

Ciao a tutti! Come sta procedendo questa torrida estate? L'incontro del 1 Agosto è stato molto interessante (mi dicono, perché io non c'ero), e anche inaspettatamente affollato! Molto bene!

Il "report" della discussione di questo mese è un po' anomalo, perché non essendo stata presente all'incontro non ho ovviamente potuto prendere nota di tutto quello che veniva detto, ma grazie alla nostra Dany e a Lara ho materiale a sufficienza per aggiornare il nostro blog. Brave le nostre tose!

Allora, nonostante le resistenze e i pregiudizi, il romanzo è piaciuto molto a tutti. Per me, uno dei più belli che abbia mai letto. Dopo un romanzo con un protagonista sostanzialmente immobile e quasi incapace di prendere decisioni (Vìktor di Domani nella battaglia pensa a me), finalmente un protagonista che invece pensa e agisce concretamente, e lotta per sopravvivere in uno dei periodi più tragici della nostra storia.

Inizio con le mie considerazioni. Mi è piaciuto lo stile “virile” dell’autore, che narra gli eventi con frasi decise senza perdersi in inutili giri di parole. Questo modo di scrivere mi ha un po’ incuriosito, e quindi sono andata a spiluccare un po’ Wikipedia per vedere com’era Hemingway nella realtà. Ho scoperto quindi un uomo forte e sicuro di sé, deciso a non seguire le indicazioni dei genitori che volevano per lui una vita entro le regole, per seguire piuttosto i suoi sogni e le sue inclinazioni, cercando anche le situazioni estreme con le quali mettersi alla prova. Ecco spiegato perché si arruola come volontario non appena gli Stati Uniti entrano in guerra, il 6 aprile 1917, assieme ad altri giovani scrittori (tra cui William Faulkner e F.S.Fitzgerald); non è l’idealismo o il patriottismo a guidarlo, ma la voglia di immergersi davvero negli eventi che stavano sconvolgendo il mondo.

Il Tenente Henry quindi è una figura autobiografica: come il suo autore, anche lui è arruolato come volontario nella Croce Rossa in qualità di autista di ambulanze, e anche a lui sembrano non interessare per niente i concetti di onore e patriottismo. Non viene spiegato il motivo per il quale il Tenente Henry si è arruolato, ma probabilmente è mosso dalla stessa voglia di Hemingway di “mettersi alla prova”. La  mancanza di dedizione vera alla causa (o forse la consapevolezza che un esercito di poveri diavoli malnutriti comunque non avrebbe potuto competere con il nemico ben organizzato) porta il Tenente a non comportarsi sempre come invece avrebbe dovuto, come quando aiuta il soldato che finge di avere un’ernia per evitare di tornare sul fronte, invece di rimandarlo dai suoi superiori. Il suo pensiero è ben sintetizzato, secondo me, in questo passaggio:

Non risposi, rimanevo sempre imbarazzato dalle parole "sacro, glorioso, sacrificio" e dall'espressione "invano". Le avevo udite anche in piedi sotto la pioggia e quasi fuori di portata dalle mie orecchie, quando solo le parole strillate forte riuscivano ad arrivare, e le avevo lette in proclami incollati ai muri sopra altri proclami, molte volte oramai, e non avevo trovato niente di sacro e le cose gloriose non portavano nessuna gloria, e i sacrifici in realtà avvenivano come nei mattatoi di Chicago: con la differenza che qui la carne andava in sepoltura. Erano molte le parole che non sopportavo più di sentire, e solo i nomi dei paesi avevano ancora dignità, e certi numeri, certe date. Rappresentavano tutto quanto aveva ancora un significato. Le parole astratte: gloria, onore, coraggio o santità sonavano come oscene rispetto ai nomi dei paesi, di numeri delle strade e ai nomi dei fiumi, ai numeri dei reggimenti, alle date. Gino era un patriota; così gli capitava di dir cose che ci dividevano a volte. Ma era anche un bravo ragazzo e capivo come potesse essere patriota.

Il Tenente Henry non è un patriota, non sta combattendo la sua guerra, ma questa guerra imprimerà suo malgrado una svolta alla sua esistenza, facendogli incontrare Catherine Barkley.

Tramite l’amico Rinaldi, infatti, il Tenente conosce l’infermiera Catherine Barkley, e ho trovato singolare il rapporto tra i due. Innanzitutto, nei primi incontri sono tutti e due consapevoli del fatto che il corteggiamento del Tenente Henry è un gioco: Catherine è ancora in lutto per il fidanzato morto in Francia col quale doveva sposarsi, e quindi accetta le attenzioni di Frederic Henry solo per distrarsi, mentre lui, pur trovandola attraente, la corteggia solo per distrarsi a sua volta dalla guerra. Catherine mi è sembrata inizialmente una donna sicura di sé e “all’avanguardia”, tanto che ad un certo punto dice chiaramente al suo corteggiatore che non è tenuto a dichiarare il suo amore, visto che è solo un gioco, non serve sforzarsi tanto. L’altro, preso un po’ in contropiede, giura invece di amarla, ma mente sapendo di mentire. Poi però il gioco va avanti, e la situazione prende un’altra piega: i due si innamorano davvero, e Catherine diventa una creatura remissiva, desiderosa soltanto di compiacere il proprio uomo.

Pare che il modo con cui Hemingway delinea i suoi personaggi femminili sia stato molto discusso. Leggendo qua e là ho scoperto che, in genere, questi ricadono entro due principali categorie: la bisbetica autoritaria (come la Lady Brett di E il sole sorge ancora) e appunto la “sottomessa”. Pare (sempre leggendo qua e là), che Hemingway abbia dato il meglio di sé quando i protagonisti sono solo uomini, e quando invece inserisce personaggi femminili scivola un po’ nello stereotipo dell’epoca. Mi è sembrata un po’ irrealistica la parte in cui il Tenente e Catherine scappano in Svizzera con la barca a remi sul lago Maggiore… questa povera donna (incinta) viene svegliata nel cuore della notte, si trova il barman chiuso nel bagno e le viene detto che devono scappare immediatamente. Questa, senza battere ciglio, si veste in un attimo, esce nella tempesta di vento e pioggia, in novembre, sale su una barca a remi, dove passerà tutta la notte intrattenendo amabilmente il suo uomo intento (molto virilmente) a remare verso la Svizzera, osando dire solo un paio di volte che si sente un po’ “irrigidita”, e trovando addirittura modo di divertirsi. Non ha mai un attimo di timore, se non per sé almeno per il suo bambino, e arrivati a giorno fatto presso un paesino svizzero propone con entusiasmo ed un certo brio di andare a fare colazione da qualche parte. Credo che una donna vera a questo punto si sarebbe fatta senz’altro qualche domanda sulla opportunità di continuare una liason così “scomoda”… Catherine invece è pronta a tutto, pur di vivere la “lovely life” che ha deciso di avere, anche se, a dire il vero, qualche volta il dubbio assale anche lei: mi riferisco alla scena in cui confessa a Henry la sua paura della pioggia, perché crede che la pioggia sia foriera di cattivi presagi per gli amanti, e alla sua sensazione che qualcosa di terribile debba succedere. A pensarci bene, la pioggia è una grande protagonista del romanzo, ed è presente in tutti i momenti cruciali: piove sulla Bainsizza, piove forte durante la ritirata, piove quando i due amanti scappano in Svizzera e piove quando Catherine muore, e Henry ritorna in albergo camminando sotto la pioggia.

Lara, direttamente dalla spiaggia, a tal proposito aggiunge: "per quanto mi riguarda, condivido in pieno e quoto totalmente quanto già sottolineato da Silvia, specialmente rispetto al senso di incredulità suscitato dal brano relativo alla notte in barca (davvero poco credibile) e rispetto alla relazione tra i due protagonisti (molto poco amore e molto più scialuppa, anche secondo me). I due mi sono sembrati aggrapparsi l'uno all'altro per non pensare al resto e il loro continuo ripetere quanto fossero felici insieme mi è parso quasi un volersene convincere. rispetto alle donne di Hemingway non so nulla, ma devo dire che nel caso di Catherine interpretare la parte della sottomessa potrebbe anche essere visto come una scelta di comodo: annullarsi e non cercare altro che compiacere il proprio uomo, soprattutto quando quest'ultimo è comunque una persona dotata di volontà e spirito d'iniziativa, è un modo semplice per acquisire un'identità, senza essere costretta a cercare dentro se stessa, riflettere, fare delle scelte autonome, che richiedono fatica".

I nostri lettori riuniti in via Borromini sottolineano il rapporto di Hemingway con le donne: lo scrittore viene spesso definito come un "macho", ha avuto diverse mogli, ma è anche capace di vivere un rapporto platonico. Il suo machismo aveva sostanza e sfumature di generosità, di comprensione, di grande cavalleria.

Riprendendo il discorso, se il corteggiamento del Tenente si spiega col suo desiderio di avere qualche ora di passione con l’infermiera inglese, non si spiega invece il suo ritornare a trovarla anche dopo che lei ha messo chiaramente le carte in tavola, dicendo che il loro era solo un gioco, e nonostante la conosca appena. Il fatto è che, secondo me, sotto la scorza di stoicismo e virilità il Tenente Henry è un uomo estremamente solo e fragile. Il suo attaccamento a Catherine diventa, da semplice svago, una scialuppa di salvataggio, e chissà se il suo sentimento sarebbe stato altrettanto forte se non ci fosse stata la guerra.

Insomma, i due si corteggiavano per sfuggire ai propri pensieri e all’orrore della guerra, si illudono di poter vivere una vita serena al di fuori del mondo, e per questo scappano in Svizzera, dove la guerra è solo un'eco lontana. Il romanzo quindi fa slittare l’attenzione dalla guerra alla vita di coppia, e di fatto narra proprio “l’addio alle armi” del Tenente Henry, che diserta (non per amore, ma per necessità). In Svizzera i due vivono felici come se fossero una coppia sposata, eppure durante il loro soggiorno vicino a Montreaux sembra di percepire che la noia e la routine si stiano insinuando tra di loro: nonostante abbiano di fatto la vita che avevano desiderato, cominciano a sognare di trasferirsi in luoghi più isolati, Catherine pensa di cambiare taglio di capelli e chiede a Henry di farsi crescere la barba. Come a dire che anche le più grandi passioni alla fine soccombono sempre alla routine della vita reale.

Ancora, Lara ci scrive: "ero un po' prevenuta, lo ammetto, non ho affrontato la lettura con entusiasmo, ma solo come "dovere" verso il gruppo. Non avevo voglia del libro di guerra e morte che nella mia ignoranza pensavo fosse. invece sono rimasta affascinata dalla potenza della narrazione, dal ritmo, dal movimento, e soprattutto dalla forza vitale che ne traspare. L'ho divorato in tre giorni sotto il sole salentino, quanto di più lontano dalla pioggia che, come ha notato già Silvia, imperversa durante tutto il racconto. Significativo che proprio "pioggia" sia la parola finale del libro, un'accortezza da non sottovalutare. In effetti in un primo momento non mi è particolarmente piaciuto il linguaggio usato da hemingway, fatto di periodi molto brevi, quasi privi di proposizioni subordinate ma al contrario costituito per la maggior parte di frasi principali coordinate tra loro. Si dice che l'uso della paratassi "è tipico del testo descrittivo, poiché questa modalità conferisce chiarezza, evidenza e incisività alla descrizione" (fonte: Wikipedia). E all'inizio la mia prima impressione è stata quella di una serie di descrizioni, poco interessanti dal punto di vista della lingua, specialmente per me, che di solito sono affascinata dall'uso sapiente delle figure retoriche, della prosa ricca, sontuosa di aggettivi, ornata di metafore, dall'uso ardito della sintassi, dalla sperimentazione. Ho scoperto leggendo l'introduzione di Fernanda Pivano all'edizione dei romanzi e racconti di hemingway della collana meridiani di mondadori, che il nostro ha appreso questo stile fin dalla giovane età, durante il suo apprendistato da giornalista. tutto parte da questa massima: "cercare di dire cose semplici con semplicità". Ed ecco che infatti le sue frasi tendono ad essere brevi, gli aggettivi ridotti al minimo, i sostantivi comuni, la prosa apparentemente non letteraria, il ritmo semplice. anche il discorso diretto è colloquiale, quasi privo di didascalie: non dice mai tipo "egli disse", "ella rispose", nè commenta sui tratti paraverbali della comunicazione (tono, ritmo, volume, timbro, etc.), Nè su quelli non verbali (movimenti del corpo, gestualità, contatto con gli occhi, vicinanza tra gli interlocutori, etc.). Ciononostante a mio modo di vedere, e me ne rendevo conto man mano che procedevo nella lettura, la lingua usata da Hemingway dell'immediatezza e della semplicità ha solo l'effetto finale, perchè mi sembra al contrario che ogni vocabolo sia scelto con cura estrema, che il ritmo sia dato da una sapiente e attenta scrittura e riscrittura. A conferma della mia impressione ho letto poi su repubblica di domenica scorsa che il nostro ernest era noto per la maniacalità con cui costruiva le frasi e i dialoghi. Pare che il finale gli sia costato 47 versioni e che Hemingway pare si sia giustificato di questo affermando "non trovavo le parole giuste" (da La Lettura del Corriere della Sera).

Ho trovato complessivamente la narrazione molto cinematografica, fatta di immagini più che di parole, con alternanza di carrellate panoramiche e zoommate su dettagli, scene a inquadratura fissa durante i dialoghi "in presa diretta", sequenze a inquadratura mobile durante le scene di movimento (la ritirata, la fuga nel fiume, la traversata del lago, etc). Sarei curiosa a questo punto di vedere i celebri film, quello del 1932 con Gary Cooper e quello con Rock Hudson del 1957, nel quale figurano Vittorio de Sica nel ruolo del maggiore Rinaldi e Alberto Sordi in quello di Padre Galli".

A proposito del cappellano, i nostri lettori riuniti in via Borromini fanno notare come, proprio tramite i dialoghi con questa figura (che ha il compito di dare un sostegno spirituale a chi ne sentisse il bisogno, ma che è anche oggetto di scherzi pesanti da parte dei soldati), il Tenente Henry viene messo di fronte a tematiche quali la gloria, l'onore e la sacralità.

Continua Lara: "il finale mi ha commossa fino alle lacrime. Non tanto perchè mi fossi affezionata al personaggio di Catherine (che francamente mi sembrava più che altro una sciroccata!), quanto perchè la sua morte è stata così veloce, così semplice, così banale da rendere vano ogni sforzo fatto fino ad allora verso la vita. Commenta Henry dopo aver appreso della morte del bambino: 

Non avrebbe dovuto esserci tutto questo morire da dover passare. Ora Catherine sarebbe morta. Questo si faceva. Si moriva. Non si sapeva di cosa si trattasse. Non si aveva mai il tempo di imparare. Si veniva gettati dentro e si sentivano le regole e la prima volta che vi acchiappavano in fallo vi uccidevano. Oppure vi uccidevano gratuitamente come Ajmo. O vi davano la sifilide come a Rinaldi. Ma alla fine vi uccidevano. Ci si poteva contare. Giratevi intorno e vi uccidono (p. 303).

e poi quel brano fenomenale in cui l'autore dà voce a tutta la sua disillusione, il ricordo di quando aveva dato fuoco ad un ceppo pieno di formiche e dopo aver osservato la loro fuga, la loro agonia, vi aveva posto fine gettandovi una tazza di latta piena d'acqua, ma solo perchè gli serviva la tazza vuota per il whisky. che terribile futilità!

Un'ultima cosa: tutto questo sottolineare gli aspetti più basici della vita (è solo una mia impressione o avete notato anche voi quanto spesso si parla di cibo, quanto spesso i personaggi siano intenti a bere e mangiare, soprattutto bere, e bere alcolici!) non è forse un tentativo di controbilanciare con la frugalità del quotidiano l'enormità della morte, di esorcizzarne la paura?"

Verissimo! Oltretutto, pare che Hemingway fosse una buona forchetta.

Ecco quanto emerso dalle nostre discussioni "a distanza", speriamo di contribuire a far venire voglia a qualcun altro di leggere questo splendido romanzo.


Passiamo ora al romanzo del prossimo mese, che sarà (rullo di tamburi):




Finalmente!!!


Quindi l'appuntamento è per

mercoledì 05 Settembre
ore 21:00 presso 
Arcipelago Progetti
via Borromini 21 - Mira


NON-MAN-CA-TE!!!