venerdì 20 maggio 2011

"La custode di mia sorella", Jodi Picoult. E' una questione di traduzione!

Sì, lo so che sono fissata. Ma cosa ci posso fare? Ho trovato finalmente il brano che mi ha fatto arrotolare le dita dei piedi... ve lo riporto:

"[...] Alla fine, non ho cucito io il vestito. Ne ho trovato uno online su Bluefly.com: un abito aderente color oro, tagliato a V per il catetere di Kate. Ma sopra c'è una camicia sottile a maniche lunghe, che si lega alla vita e luccica quando lei si gira da una parte e dall'altra, così, quando ci si accorge dello strano tubo triplo che le esce dallo sterno, viene spontaneo chiedersi se non sia stato un effetto della luce.
Abbiamo fatto un sacco di foto prima di uscire di casa. Quando Kate e Taylor scapparono via, ad aspettarmi in auto, andai a riporre la macchina fotografica e trovai Brian in cucina con la schiena rivolta verso di me."

Nel giro di 6 righe si passa dal passato prossimo, al presente, al passato remoto... un uso pirotecnico dei tempi verbali, direi! Sarebbe forse stato più giusto:

"Abbiamo fatto un sacco di foto prima di uscire di casa. Quando Kate e Taylor scappano/sono scappati via, ad aspettarmi in auto, vado/sono andata a riporre la macchina fotografica e trovo/ho trovato Brian in cucina con la schiena rivolta verso di me."

Insomma, se "ha fatto" un sacco di foto, dopo non può dirmi che i ragazzi "scapparono" in auto, perchè il passato remoto suggerisce che l'azione di scappare è avvenuta molto tempo prima del "fare le foto", e invece le azioni sono consecutive. Poi continua ancora per qualche riga col passato remoto, e ad un certo punto, paf!:

"Adesso, porgo una coppa di punch ad un ragazzo i cui capelli stanno cominciando appena a cadere in piccoli batuffoli"

e via così. Un po' come stare sulle montagne russe.


ps: un abito tagliato a V non si descrive meglio se si dice che ha uno scollo a V?

giovedì 19 maggio 2011

"La custode di mia sorella", Jodi Picoult - il dopodiscussione

Come era prevedibile, l'incontro è stato fruttuoso. Innanzitutto ringraziamo Raffaella, che è venuta a trovarci, e speriamo davvero che riesca a venire anche ai prossimi incontri. E ringraziamo anche Loris, che pur non avendo letto il libro ha datto spunti di riflessione davvero interessanti. Ma soprattutto grazie a Daniela, che ha parlato con passione di questo romanzo che le è veramente piaciuto, mettendo l'accento sulla tragicità degli eventi vissuti dalla famiglia protagonista, e evidenziando soprattutto il comportamento della madre, Sara, le sue contraddizioni e il suo modo di trattare i figli. Infatti, Sara si comporta quasi da "mamma manager", ma il suo obiettivo non è quello di far sfondare Kate nel mondo dello spettacolo, bensì guarire la figlia, passando sopra a diverse cose, soprattutto agli altri due figli. Sara, come un carrarmato, procede diritta verso il suo obiettivo (lodevole, per carità), ovvero la guarigione della secondogenita, rinunciando ad accudire Jesse, che vive un'adolescenza difficile, e trattando Anna come vero e proprio "parco ricambi" per Kate. Daniela e Raffaella fanno notare come, nonostante Jesse e Anna abbiano chiara la loro situazione di "figli invisibili" agli occhi della madre, sembrano non nutrire nessun rancore nei confronti della sorella malata. In particolare, tra Anna e Kate (ma anche tra le due sorelle e il fratello maggiore) sembra esserci un normale rapporto tra fratelli, con litigi e confidenze. Non sappiamo però niente del pensiero di Kate: cosa pensa del fatto che la sua guarigione passa attraverso i supplizi di sua sorella Anna? L'autrice non fa mai parlare Kate fino all'ultimo paragrafo, che costituisce comunque una sorta di "happy end".
Daniela poi fa notare il ruolo del padre, che lascia di fatto alla moglie la conduzione della famiglia per rifugiarsi nel suo lavoro di pompiere. Probabilmente non riesce a far fronte al dolore portato dalla malattia della figlia, ma questo non significa che non soffra, come fa notare Loris. A volte, sottolinea sempre Loris, ci si butta a capofitto nel lavoro, proprio perchè è l'attività che riesce meglio, e che consente di offrire ai figli tutto quello di cui hanno bisogno. D'altra parte, come fa notare Daniela, sembra essere il padre quello più legato ai figli, tutti e tre, e l'unico genitore che è riuscito a capire veramente Anna, che l'ha davvero voluta, non tanto per il compito che doveva assolvere, ma semplicemente per quello che era. E' il padre che sembra soffrire di più per la perdita di Anna, infatti dopo la sua morte cade nell'alcolismo, mentre non ci viene detto quale è stata la reazione della madre.

Infine, non sappiamo cosa avrebbe fatto Anna se non fosse morta nell'incidente: forse avrebbe comunque donato il rene alla sorella (come sembra di capire da una frase in uno degli ultimi paragrafi), ma sarebbe stata lei a decidere di farlo, senza l'imposizione di nessuno. Questa è la convinzione di tutto il nostro gruppo di lettura.

Per concludere, forse vale la pena di chiedersi qual è il messaggio che l'autrice voleva dare con questo libro. Forse, a pensarci bene, il finale, che risolve la questione in maniera drammatica e a prima vista sbrigativa, non poteva essere altrimenti. Non ci può essere una presa di posizione definitiva in un contesto del genere, non è possibile stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato, perchè in situazioni del genere non si fa mai la cosa giusta, e per prendere una decisione occorre vivere in prima persona la situazione, come faceva notare Daniela.
L'autrice quindi ha trovato un modo inatteso ma molto efficace per "smarcarsi" da una conclusione che l'avrebbe comunque portata ad esprimere, in un modo o nell'altro, la propria posizione, lasciando il lettore a bocca aperta. Nel post precedente avevo scritto "a bocca asciutta" ed è vero: non sappiamo quale decisione avrebbe preso Anna. Ma nella sua decisione di non veicolare nessuna posizione, l'autrice in realtà manda un chiaro messaggio, ci fa conoscere tra le righe quello che, in definitiva, è il significato del libro, ovvero che in tematiche del genere non ci sono messaggi da dare, indicazioni da fornire o prese di posizione di cui farsi promotori. Ogni situazione è una situazione a sè stante, e nessuno può decidere al posto di qualcun altro. E a ben vedere, questo è un argomento di grande attualità, se pensiamo alla tanto contestata legge sul testamento biologico.

Insomma, il libro ha fatto nascere una bella discussione appassionata, che ha fatto volare la nostra ora e mezza disposizione! Per quanto mi riguarda, ho trovato punti di vista diversi dai quali guardare un libro che di primo acchito non mi era piaciuto in granchè. E mi ha permesso di apprezzarlo di più. Poteri del gruppo di lettura! :)

Sempre su idea di Daniela - vera promotrice di questo incontro! - dopo la discussione ci siamo poi spostati a L'altro Fragile di Dolo per una cenetta in compagnia... insomma, la notte era calma e profumata, la compagnia piacevolissima e i discorsi interessanti! Visto che il mese prossimo l'aula della scuola non sarà disponibile - e non lo sarà per tutta l'estate - Loris ha avuto un'idea geniale: spostare il gruppo di lettura nella terrazza estiva dell'Altro Fragile! Margherita ci ha dato un via libera preventiva, restiamo comunque in attesa della conferma ufficiale. Prepareremo allora una locandina da appendere all'interno del locale, e speriamo che la "discussione pubblica" sia una buona pubblicità per il Colibrì. E chissà che questa sia la volta buona per la partecipazione anche del Venerabile Maestro... ;)

Il prossimo incontro si terrà il 22 giugno, luogo e ora li definiamo con precisione tra qualche giorno.

Ah sì, dimenticavo! Il libro per il prossimo incontro è: L'eleganza del riccio (Muriel Burberry), trovate una breve sinossi nel post precedente (e Luca dice che al prossimo incontro verrà "elegante come un riccio"!).


Una buona giornata!
Silvia

mercoledì 18 maggio 2011

"La custode di mia sorella", Jodi Picoult - letteratura inglese contemporanea

Abbiamo già superato la metà di maggio! E' pazzesco! Avete finito di leggere il libro? V'è piaciuto? Stasera ne discutiamo, e in attesa di sapere cosa ne pensate, dico qui la mia. A me non è piaciuto un granchè. Forse sono stata anche sfortunata, perchè ho preso (in biblioteca) un'edizione del (aspetta che controllo...) novembre 2007, e la traduzione è pessima. E vabbè, deformazione pseudo-professionale, ma se la traduzione non è invisibile, se la frase ti lascia quel non so che di nebuloso, allora si poteva fare di meglio. Certo, non esiste "la" traduzione migliore, però secondo me traspare un po' di sciatteria. E io sono allergica alla sciatteria. Senza contare che l'editor, nel caso della mia edizione, era probabilmente un po' alticcio... refusi a parte (e ne ho contati parecchi), ho trovato discordanze di tempi verbali, note sbagliate, frasi traballanti...

Insomma. Io sono delicata.

A parte le questioni "tecniche", il tema era senz'altro interessante. Interessante anche il fatto che l'autrice abbia deciso di far vedere la faccenda dal punto di vista di tutti i partecipanti (tranne quello di Kate, che se non sbaglio parla in prima persona solo nell'ultimo paragrafo); credo che la scelta sia azzeccata, perchè per rendere la complessità di un tema come questo è essenziale presentarla da angolazioni diverse

Però.

Raccontare una storia cambiando continuamente voce narrante penso sia difficilissimo. Perchè per rendere la cosa credibile, lo scrittore deve immergersi in diversi personaggi che, nella finzione, sono persone distinte, hanno non solo pensieri diversi, ma anche un personale modo di parlare. E leggendo, a volte si aveva la sensazione che la voce narrante rimanesse sempre la stessa, nonostante il titolo del paragrafo indicasse che in quel momento stava parlando un personaggio piuttosto che un altro. Le parti più traballanti mi sono sembrate quelle del padre, Brian, ma in generale spesso e volentieri ho fatto fatica a capire chi stava parlando senza prima aver visto il titolo del paragrafo. Certo, potrebbe non essere "colpa" dell'autrice, e ho il sospetto che forse chi ha tradotto non si sia fatto sfuggire solo errori di traduzione, ma anche il registro dei personaggi (a 'sta povera traduttrice staranno fischiando le orecchie...!).

E poi: non si indugia un po' troppo su descrizioni dettagliate delle cure a Kate quando è in ospedale? E vabbè, però si potrebbe obiettare che è normale che una madre in una situazione del genere si fissi su quello che concretamente viene fatto alla figlia. Però... tra una flebo e un trapianto mi sarei aspettata qualche pensiero un po' più profondo.
Cosa pensa Kate del fatto che Anna deve sottoporsi a ricorrenti supplizi per consentirle di vivere? E Anna (che di nome farebbe Andromeda... povera creatura), cosa pensa davvero? Non vuole donare il rene alla sorella, vuole sfuggire al compito che le è stato assegnato ancora prima di nascere. E' coraggiosa, senza dubbio. E' anche fragile e insicura (e il suo atteggiamento remissivo nei confronti della madre mi è piaciuto molto, l'ha resa più "vera"), ma cosa pensa davvero? Ha realizzato che senza il suo atto d'amore nei confronti della sorella la condanna di fatto a morte? Il suo volersi emancipare dal punto di vista medico è solo un affermare il suo diritto ad esistere, oppure davvero non se la sente di donare il rene? Insomma, anche se emancipata, lo avrebbe donato lo stesso questo rene, oppure no? Secondo me un'adolescente che porta i genitori davanti a un giudice questi pensieri deve esserseli fatti, deve essere stato un tormento, ma questo tormento non traspare nel libro. O per lo meno, io non l'ho percepito (oppure è sempre colpa del trad...). E certo, il finale non aiuta. L'incidente è il "deus ex-machina" che risolve i problemi, e pur essendo davvero un finale inaspettato ed esplosivo, lascia il lettore a bocca asciutta. Anna non giunge a prendere nessuna posizione, non ha la possibilità di esprimersi, e noi non sapremo mai dove l'ha portata il percorso che ha intrapreso.

Infine, cosa avrei fatto io se fossi stata nei panni di Anna? E cosa avrei fatto, se fossi stata nei panni di Sara?
Se fossi stata figlia, io avrei donato. E se fossi stata madre, forse avrei parlato un po' di più. Ma ovviamente è facile vedere le cose da fuori.

Sono curiosa di sapere cosa ne pensate voi! Ci si trova stasera, ore 20.00 scuole medie di Dolo. Incollo qui sotto le mie proposte per il mese di giugno:

Muriel Burberry
L’eleganza del riccio

Siamo a Parigi in un elegante palazzo abitato da famiglie dell’alta borghesia. Ci vivono ministri, burocrati, maîtres à penser della cultura culinaria. Dalla sua guardiola assiste allo scorrere di questa vita di lussuosa vacuità la portinaia Renée, che appare in tutto e per tutto conforme all’idea stessa della portinaia: grassa, sciatta, scorbutica e teledipendente. Niente di strano, dunque. Tranne il fatto che, all’insaputa di tutti, Renée è una coltissima autodidatta, che adora l’arte, la filosofia, la musica, la cultura giapponese. Cita Marx, Proust, Kant… Dal punto di vista intellettuale è in grado di farsi beffe dei suoi ricchi e boriosi padroni. Poi c’è Paloma, la figlia di un ministro ottuso; dodicenne geniale, brillante e fin troppo lucida che, stanca di vivere, ha deciso di farla finita (il 16 giugno, giorno del suo tredicesimo compleanno, per l’esattezza). Fino ad allora continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre, segretamente osservando con sguardo critico e severo l’ambiente che la circonda.
Due personaggi in incognito, quindi, diversi eppure accomunati dallo sguardo ironicamente disincantato, che ignari l’uno dell’impostura dell’altro, si incontreranno solo grazie all’arrivo di monsieur Ozu, un ricco giapponese, il solo che saprà smascherare Renée.
Le pagine scivolano leggere fra i dotti rimandi e la lingua forbita di Renée e il parlato acerbo di Paloma, mentre l’ironia pungente non risparmia l’ipocrisia imperante nei quartieri chic. Quando ci s’imbatte in tale miscela di leggerezza e umorismo, cultura e profondità, è un piccolo miracolo.

Nothomb Amèlie
Metafisica dei tubi

Un'autobiografia scanzonata e irriverente dei primissimi anni di vita dell'autrice. La scoperta del gusto, del peccato, della potenza e della fascinazione della parola impegnano il tubo-Amélie, apparentemente inerte. In una compulsione di pensieri e metafore l'autrice consegna al Dubbio, una formula corrosiva che condensa irrequietezza e catarsi: "Vivere è rifiutare.Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell'orifizio del lavandino".

Niccolò Ammaniti
Io e te

Barricato in cantina per trascorrere di nascosto da tutti la sua settimana bianca, Lorenzo, un quattordicenne introverso e un po' nevrotico, si prepara a vivere il suo sogno solipsistico di felicità: niente conflitti, niente fastidiosi compagni di scuola, niente commedie e finzioni. Il mondo con le sue regole incomprensibili fuori della porta e lui stravaccato su un divano, circondato di Coca-Cola, scatolette di tonno e romanzi horror. Sarà Olivia, che piomba all'improvviso nel bunker con la sua ruvida e cagionevole vitalità, a far varcare a Lorenzo la linea d'ombra, a fargli gettare la maschera di adolescente difficile e accettare il gioco caotico della vita là fuori. Con questo racconto di formazione Ammaniti aggiunge un nuovo, lancinante scorcio a quel paesaggio dell'adolescenza di cui è impareggiabile ritrattista. E ci dà con Olivia una figura femminile di fugace e struggente bellezza.


Buona giornata!
Silvia