martedì 19 marzo 2013

"Settanta acrilico, trenta lana", Viola di Grado - discussione del 13 marzo 2013

Ciao a tutti!

Eccoci qui con l'aggiornamento del nostro blog. L'ultimo romanzo che abbiamo letto è stato "Settanta acrilico, trenta lana" di Viola di Grado. Non sarà difficile riportare le opinioni che abbiamo espresso nella nostra ultima chiacchierata, dato che il romanzo in linea di massima non è piaciuto a nessuno. Solo Marzia e Marta hanno espresso una certa curiosità per il modo in cui è stato scritto, fermo restando che anche per loro sia la trama che i personaggi sono piuttosto traballanti.

Iniziamo con le nostre osservazioni sul linguaggio. Come fa notare Lara, quello dell'autrice è un modo di scrivere che chiaramente vuole stupire, ricco di immagini e metafore... a volte anche troppo. C'è come una ridondanza di effetti speciali che fa del romanzo più una prova di scrittura, che la narrazione di una storia, dando la sensazione che il linguaggio, più che veicolare un significato, sia piuttosto fine a sé stesso.

Il romanzo è disseminato di elementi che sembrano appena abbozzati, e che non hanno, secondo noi, un adeguato approfondimento: le chiavi degli ideogrammi cinesi che Camelia impara da Wen danno un tocco di esotico al racconto, ma non vanno oltre; i buchi che la madre fotografa in continuazione (perché il marito è morto finendo in un fosso con l'amante, con l'equazione un po' scontata fosso = buco) si limitano a dare un tocco di follia al personaggio, ma niente di più; la passione di Camelia per rovinare i vestiti viene introdotta solo a romanzo già inoltrato e viene ripresa un paio di volte, e anche questo rimane nello sfondo. Tutto è solo accennato, e tutto sembra perdersi in questo linguaggio che vuole stupire. Anche i personaggi sembrano solo abbozzati, non hanno una loro fisicità e un carattere ben definito, come ad esempio Wen:  nonostante sia uno dei personaggi principali del romanzo, di lui non sappiamo pressoché niente, se non che è cinese, ha un viso di porcellana e si mangia le unghie. Potremmo supporre che questa mancanza di peso dei personaggi sia voluta: in fin dei conti, li vediamo attraverso gli occhi di Camelia, e Camelia, alla fin fine è interessata solo a crogiolarsi nel suo dolore. Possiamo immaginare quindi che, nonostante lei ricerchi disperatamente le attenzioni e l'amore del prossimo, in realtà sia lei per prima poco disposta a darne, raccogliendo di conseguenza. In fin dei conti Camelia è il personaggio perfetto per un tipo di linguaggio che non è interessato a raccontare una storia, ma solo a mettersi in mostra.

Spesso la storia ci è sembrata composta da frammenti che non stanno assieme, e non ci è sembrata quasi mai né convincente né veramente delirante, tutto sembra sempre artefatto e a volte (a nostro avviso) sfiora il ridicolo. La poetica dell'orrore, il tentativo di fare poesia sullo schifo, risulta grottesca.

Marta ci fa notare che, qualche volta, è riscontrabile a volte il genere di tristezza che spesso si trova nei romanzi giapponesi, e porta a esempio il romanzo "Sonno profondo", di Banana Yoshimoto, e le opere di Murakami.

Durante tutto il romanzo, i personaggi in qualche modo evolvono (per esempio la madre, che esce dalla sua depressione; Wen, che trova il coraggio di svelare il suo "segreto"; il fratello di Wen - protagonista assieme a Camelia di alcune disgustose scene di sesso - che decide di mettersi con una ragazza normale), mentre la protagonista rimane aggrappata alla sua condizione di disadattata che si crogiola nel suo dolore, e ci viene da pensare che la perdita del padre sia solo il pretesto che ha dato l'avvio a una follia probabilmente già latente. Il finale, che non sveleremo per non togliere a nessuno la voglia di intraprendere la lettura, lascerebbe infatti pensare che Camelia sia una pazza, indipendentemente da quanto le sia successo.

Marzia ci fa notare però quanto sia stato penoso vedere la dedizione della figlia verso la madre, ricambiata poi praticamente con un abbandono da parte della stessa.

Infine, ancora Marta ci fa notare come la trama di questo romanzo sia pericolosamente simile a quella di un altro romanzo, uscito in una collana di libri per ragazzi ("Mel", Liz Berry - Mondandori 1992), in cui si ritrova la stessa situazione: una ragazza che vive sola con la madre, il padre deceduto, la depressione, lo strano rapporto con la madre, l'amore difficile, l'ambiente degradato di una città inglese.

Il romanzo ha vinto importanti premi, ed è stato osannato dalla critica... probabilmente il nostro gruppo di lettura non è portato per le avanguardie ;)

Finita la discussione, fortunatamente c'erano i dolci gentilmente offerti da Alicia, Silvia e Alessio.

Ecco qua il romanzo per la prossima discussione:


Joan Scudamore è felice e appagata dalla sua vita tranquilla di moglie, madre e "angelo del focolare". Quando, per una serie di contrattempi, si trova confinata in un deserto del Vicino Oriente, in attesa di un treno che non arriva, inizia a ripensare alla propria esistenza. E piano piano si rende conto che la realtà è molto diversa da quella idilliaca in cui ha sempre voluto credere.
Il primo romanzo d'amore scritto da Agatha Christie, narrato con la stessa collaudatissima tecnica della suspense cui ci ha abituati la regina del giallo, è un memorabile ritratto di donna, tagliente ma non impietoso, uno stupendo romanzo...

Il prossimo incontro sarà mercoledì 10 aprile.

Non mi resta che augurarvi una buona lettura!