Insomma. Io sono delicata.
A parte le questioni "tecniche", il tema era senz'altro interessante. Interessante anche il fatto che l'autrice abbia deciso di far vedere la faccenda dal punto di vista di tutti i partecipanti (tranne quello di Kate, che se non sbaglio parla in prima persona solo nell'ultimo paragrafo); credo che la scelta sia azzeccata, perchè per rendere la complessità di un tema come questo è essenziale presentarla da angolazioni diverse
Però.
Raccontare una storia cambiando continuamente voce narrante penso sia difficilissimo. Perchè per rendere la cosa credibile, lo scrittore deve immergersi in diversi personaggi che, nella finzione, sono persone distinte, hanno non solo pensieri diversi, ma anche un personale modo di parlare. E leggendo, a volte si aveva la sensazione che la voce narrante rimanesse sempre la stessa, nonostante il titolo del paragrafo indicasse che in quel momento stava parlando un personaggio piuttosto che un altro. Le parti più traballanti mi sono sembrate quelle del padre, Brian, ma in generale spesso e volentieri ho fatto fatica a capire chi stava parlando senza prima aver visto il titolo del paragrafo. Certo, potrebbe non essere "colpa" dell'autrice, e ho il sospetto che forse chi ha tradotto non si sia fatto sfuggire solo errori di traduzione, ma anche il registro dei personaggi (a 'sta povera traduttrice staranno fischiando le orecchie...!).
E poi: non si indugia un po' troppo su descrizioni dettagliate delle cure a Kate quando è in ospedale? E vabbè, però si potrebbe obiettare che è normale che una madre in una situazione del genere si fissi su quello che concretamente viene fatto alla figlia. Però... tra una flebo e un trapianto mi sarei aspettata qualche pensiero un po' più profondo.
Cosa pensa Kate del fatto che Anna deve sottoporsi a ricorrenti supplizi per consentirle di vivere? E Anna (che di nome farebbe Andromeda... povera creatura), cosa pensa davvero? Non vuole donare il rene alla sorella, vuole sfuggire al compito che le è stato assegnato ancora prima di nascere. E' coraggiosa, senza dubbio. E' anche fragile e insicura (e il suo atteggiamento remissivo nei confronti della madre mi è piaciuto molto, l'ha resa più "vera"), ma cosa pensa davvero? Ha realizzato che senza il suo atto d'amore nei confronti della sorella la condanna di fatto a morte? Il suo volersi emancipare dal punto di vista medico è solo un affermare il suo diritto ad esistere, oppure davvero non se la sente di donare il rene? Insomma, anche se emancipata, lo avrebbe donato lo stesso questo rene, oppure no? Secondo me un'adolescente che porta i genitori davanti a un giudice questi pensieri deve esserseli fatti, deve essere stato un tormento, ma questo tormento non traspare nel libro. O per lo meno, io non l'ho percepito (oppure è sempre colpa del trad...). E certo, il finale non aiuta. L'incidente è il "deus ex-machina" che risolve i problemi, e pur essendo davvero un finale inaspettato ed esplosivo, lascia il lettore a bocca asciutta. Anna non giunge a prendere nessuna posizione, non ha la possibilità di esprimersi, e noi non sapremo mai dove l'ha portata il percorso che ha intrapreso.
Infine, cosa avrei fatto io se fossi stata nei panni di Anna? E cosa avrei fatto, se fossi stata nei panni di Sara?
Se fossi stata figlia, io avrei donato. E se fossi stata madre, forse avrei parlato un po' di più. Ma ovviamente è facile vedere le cose da fuori.
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate voi! Ci si trova stasera, ore 20.00 scuole medie di Dolo. Incollo qui sotto le mie proposte per il mese di giugno:
Muriel Burberry
L’eleganza del riccio
L’eleganza del riccio
Siamo a Parigi in un elegante palazzo abitato da famiglie dell’alta borghesia. Ci vivono ministri, burocrati, maîtres à penser della cultura culinaria. Dalla sua guardiola assiste allo scorrere di questa vita di lussuosa vacuità la portinaia Renée, che appare in tutto e per tutto conforme all’idea stessa della portinaia: grassa, sciatta, scorbutica e teledipendente. Niente di strano, dunque. Tranne il fatto che, all’insaputa di tutti, Renée è una coltissima autodidatta, che adora l’arte, la filosofia, la musica, la cultura giapponese. Cita Marx, Proust, Kant… Dal punto di vista intellettuale è in grado di farsi beffe dei suoi ricchi e boriosi padroni. Poi c’è Paloma, la figlia di un ministro ottuso; dodicenne geniale, brillante e fin troppo lucida che, stanca di vivere, ha deciso di farla finita (il 16 giugno, giorno del suo tredicesimo compleanno, per l’esattezza). Fino ad allora continuerà a fingere di essere una ragazzina mediocre e imbevuta di sottocultura adolescenziale come tutte le altre, segretamente osservando con sguardo critico e severo l’ambiente che la circonda.
Due personaggi in incognito, quindi, diversi eppure accomunati dallo sguardo ironicamente disincantato, che ignari l’uno dell’impostura dell’altro, si incontreranno solo grazie all’arrivo di monsieur Ozu, un ricco giapponese, il solo che saprà smascherare Renée.
Le pagine scivolano leggere fra i dotti rimandi e la lingua forbita di Renée e il parlato acerbo di Paloma, mentre l’ironia pungente non risparmia l’ipocrisia imperante nei quartieri chic. Quando ci s’imbatte in tale miscela di leggerezza e umorismo, cultura e profondità, è un piccolo miracolo.
Nothomb Amèlie
Metafisica dei tubi
Un'autobiografia scanzonata e irriverente dei primissimi anni di vita dell'autrice. La scoperta del gusto, del peccato, della potenza e della fascinazione della parola impegnano il tubo-Amélie, apparentemente inerte. In una compulsione di pensieri e metafore l'autrice consegna al Dubbio, una formula corrosiva che condensa irrequietezza e catarsi: "Vivere è rifiutare.Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell'orifizio del lavandino".
Metafisica dei tubi
Un'autobiografia scanzonata e irriverente dei primissimi anni di vita dell'autrice. La scoperta del gusto, del peccato, della potenza e della fascinazione della parola impegnano il tubo-Amélie, apparentemente inerte. In una compulsione di pensieri e metafore l'autrice consegna al Dubbio, una formula corrosiva che condensa irrequietezza e catarsi: "Vivere è rifiutare.Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell'orifizio del lavandino".
Niccolò Ammaniti
Io e te
Barricato in cantina per trascorrere di nascosto da tutti la sua settimana bianca, Lorenzo, un quattordicenne introverso e un po' nevrotico, si prepara a vivere il suo sogno solipsistico di felicità: niente conflitti, niente fastidiosi compagni di scuola, niente commedie e finzioni. Il mondo con le sue regole incomprensibili fuori della porta e lui stravaccato su un divano, circondato di Coca-Cola, scatolette di tonno e romanzi horror. Sarà Olivia, che piomba all'improvviso nel bunker con la sua ruvida e cagionevole vitalità, a far varcare a Lorenzo la linea d'ombra, a fargli gettare la maschera di adolescente difficile e accettare il gioco caotico della vita là fuori. Con questo racconto di formazione Ammaniti aggiunge un nuovo, lancinante scorcio a quel paesaggio dell'adolescenza di cui è impareggiabile ritrattista. E ci dà con Olivia una figura femminile di fugace e struggente bellezza.
Buona giornata!
Silvia
Nessun commento:
Posta un commento